Giornalismo d'inchiesta, Libertà di stampa e cause per diffamazione (SLAPP): differenze tra le versioni

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== Controversie legali e accuse di diffamazione ==
Nel corso della sua carriera, Maria Elisabetta Alberti Casellati è stata coinvolta in diverse controversie legali legate a presunte diffamazioni. Un caso significativo riguarda la giornalista Roberta Polese, che nel 2010 scrisse un articolo su presunte irregolarità nell'assegnazione di una consulenza informatica da parte dell'Arpav, collegando la vicenda a Marco Serpilli, marito di Ludovica Casellati, figlia della senatrice. Casellati citò Polese per danni, chiedendo 250.000 euro per diffamazione. Tuttavia, la giornalista fu assolta sia in sede penale che civile, con il giudice che riconobbe il diritto di cronaca. Nonostante la vittoria legale, Polese dovette affrontare significative difficoltà economiche e psicologiche a causa delle spese legali e della pressione del processo.


Un altro episodio recente riguarda il ministro del Made in Italy, Adolfo Urso, che ha querelato alcuni giornalisti de Il Foglio e Il Riformista, chiedendo un risarcimento tra i 250.000 e i 500.000 euro per articoli che criticavano la sua politica industriale. Questo caso è stato interpretato da molti come un esempio di SLAPP (Strategic Lawsuit Against Public Participation), ovvero una "querela bavaglio" volta a intimidire e silenziare i giornalisti.


[[File:Image Roberta Polese.png|miniatura|257x257px]]Riportiamo un pezzo tratto dall'articolo [https://www.globalist.it/politics/2018/03/24/la-casellati-perse-la-causa-ma-spinse-la-giornalista-disoccupata-a-pagare-le-spese-legali/ La Casellati perse la causa: ma spinse la giornalista disoccupata a pagare le spese legali]<blockquote>''La storia l’ha raccontata nel 2016 il Mattino di Padova con l’articolo che riportiamo e prima, nel gennaio 2014, l’aveva denunciata anche [https://notiziario.ossigeno.info/2014/01/diffamazione-il-caso-polese-quanti-rischi-corrono-i-giornalisti-37320/ Ossigeno], ossia l’<u>associazione che da anni denuncia le minacce e le pressioni cui giornalisti che minacciano la libertà di stampa.</u>''</blockquote><blockquote style="display:inline-block">[[File:Libro io non taccio.png|miniatura|308x308px]]{{:Giornalismo d'inchiesta, libro}}
Questi episodi sono stati oggetto di dibattito pubblico e hanno sollevato preoccupazioni riguardo alla libertà di stampa e di espressione in Italia. La coalizione CASE Europa, che combatte contro le cause temerarie, ha assegnato il premio SLAPP Politico dell'anno alla Premier Giorgia Meloni, in parte per la sua causa per diffamazione contro Roberto Saviano e per un'altra contro i redattori del giornale Domani. Questi eventi sono stati evidenziati dalla missione del Media Freedom Rapid Response, che ha sottolineato le crescenti tensioni e repressioni delle libertà individuali e del giornalismo libero in Italia.
 
== Cos'è una SLAPP ==
SLAPP è un acronimo che sta per “Strategic Lawsuit Against Public Participation”, traducibile in italiano con “azione legale strategica contro la partecipazione pubblica”. Questo termine identifica le azioni legali tese a bloccare la partecipazione alla vita pubblica. L’obiettivo principale di una SLAPP non è vincere, ma intimorire l’avversario e reprimere il dibattito pubblico.
 
Le SLAPP sono spesso utilizzate da aziende e politici che vogliono nascondere le loro azioni, perché potrebbero essere illegali o dannose per le persone. Queste cause legali vengono intentate con l’obiettivo di intimidire e silenziare le voci di giornalisti, attivisti e organizzazioni per i diritti umani.
 
Nell’Unione Europea, sono state prese delle iniziative per proteggere contro le SLAPP. Queste nuove regole forniscono potenti salvaguardie procedurali per i casi di SLAPP transfrontalieri.[[File:Image Roberta Polese.png|miniatura|257x257px]]
 
== Episodio Casellati ==
Riportiamo un pezzo tratto dall'articolo [https://www.globalist.it/politics/2018/03/24/la-casellati-perse-la-causa-ma-spinse-la-giornalista-disoccupata-a-pagare-le-spese-legali/ La Casellati perse la causa: ma spinse la giornalista disoccupata a pagare le spese legali]<blockquote>''La storia l’ha raccontata nel 2016 il Mattino di Padova con l’articolo che riportiamo e prima, nel gennaio 2014, l’aveva denunciata anche [https://notiziario.ossigeno.info/2014/01/diffamazione-il-caso-polese-quanti-rischi-corrono-i-giornalisti-37320/ Ossigeno], ossia l’<u>associazione che da anni denuncia le minacce e le pressioni cui giornalisti che minacciano la libertà di stampa.</u>''</blockquote><blockquote style="display:inline-block">[[File:Libro io non taccio.png|miniatura|308x308px]]{{:Giornalismo d'inchiesta, libro}}





Versione attuale delle 19:10, 29 giu 2024

Controversie legali e accuse di diffamazione[modifica | modifica sorgente]

Nel corso della sua carriera, Maria Elisabetta Alberti Casellati è stata coinvolta in diverse controversie legali legate a presunte diffamazioni. Un caso significativo riguarda la giornalista Roberta Polese, che nel 2010 scrisse un articolo su presunte irregolarità nell'assegnazione di una consulenza informatica da parte dell'Arpav, collegando la vicenda a Marco Serpilli, marito di Ludovica Casellati, figlia della senatrice. Casellati citò Polese per danni, chiedendo 250.000 euro per diffamazione. Tuttavia, la giornalista fu assolta sia in sede penale che civile, con il giudice che riconobbe il diritto di cronaca. Nonostante la vittoria legale, Polese dovette affrontare significative difficoltà economiche e psicologiche a causa delle spese legali e della pressione del processo.

Un altro episodio recente riguarda il ministro del Made in Italy, Adolfo Urso, che ha querelato alcuni giornalisti de Il Foglio e Il Riformista, chiedendo un risarcimento tra i 250.000 e i 500.000 euro per articoli che criticavano la sua politica industriale. Questo caso è stato interpretato da molti come un esempio di SLAPP (Strategic Lawsuit Against Public Participation), ovvero una "querela bavaglio" volta a intimidire e silenziare i giornalisti.

Questi episodi sono stati oggetto di dibattito pubblico e hanno sollevato preoccupazioni riguardo alla libertà di stampa e di espressione in Italia. La coalizione CASE Europa, che combatte contro le cause temerarie, ha assegnato il premio SLAPP Politico dell'anno alla Premier Giorgia Meloni, in parte per la sua causa per diffamazione contro Roberto Saviano e per un'altra contro i redattori del giornale Domani. Questi eventi sono stati evidenziati dalla missione del Media Freedom Rapid Response, che ha sottolineato le crescenti tensioni e repressioni delle libertà individuali e del giornalismo libero in Italia.

Cos'è una SLAPP[modifica | modifica sorgente]

SLAPP è un acronimo che sta per “Strategic Lawsuit Against Public Participation”, traducibile in italiano con “azione legale strategica contro la partecipazione pubblica”. Questo termine identifica le azioni legali tese a bloccare la partecipazione alla vita pubblica. L’obiettivo principale di una SLAPP non è vincere, ma intimorire l’avversario e reprimere il dibattito pubblico.

Le SLAPP sono spesso utilizzate da aziende e politici che vogliono nascondere le loro azioni, perché potrebbero essere illegali o dannose per le persone. Queste cause legali vengono intentate con l’obiettivo di intimidire e silenziare le voci di giornalisti, attivisti e organizzazioni per i diritti umani.

Nell’Unione Europea, sono state prese delle iniziative per proteggere contro le SLAPP. Queste nuove regole forniscono potenti salvaguardie procedurali per i casi di SLAPP transfrontalieri.

Episodio Casellati[modifica | modifica sorgente]

Riportiamo un pezzo tratto dall'articolo La Casellati perse la causa: ma spinse la giornalista disoccupata a pagare le spese legali

La storia l’ha raccontata nel 2016 il Mattino di Padova con l’articolo che riportiamo e prima, nel gennaio 2014, l’aveva denunciata anche Ossigeno, ossia l’associazione che da anni denuncia le minacce e le pressioni cui giornalisti che minacciano la libertà di stampa.

La copertina del libro non ha un grande appeal, ma l’interno è polvere da sparo. Si intitola «Io non taccio» e racconta otto storie di ordinaria fatica giornalistica. Di quel giornalismo cosiddetto d’inchiesta, che spesso è solo il tentativo onesto di descrivere la realtà quando ci si imbatte in potentati costruiti utilizzando le istituzioni.

Incarichi pubblici sfruttati come proprietà privata, posizioni di rilievo sociale ottenute con il voto ma usate a beneficio di chi le occupa e di pochi ammanicati, a spese degli ignari elettori. I potenti non gradiscono mai che se ne parli. Di qualunque partito siano, qualunque formazione culturale abbiano, è l’unica pubblicità che odiano.

Per stroncarla non esitano a intimidire, minacciare. Non querelano neanche più davanti al giudice penale. Pretendono direttamente i danni in sede civile, secondo l’impostazione teorizzata negli anni Novanta da Massimo D’Alema. Non certo l’unico.


Nel Veneto Lia Sartori amava ripetere: «I giornalisti bisogna denunciarli, anche perché non hanno i soldi per pagarsi l’avvocato». È vero. Per il giornalista paga l’azienda, sempre se non scompare prima del processo, come è accaduto a Padova in uno degli otto casi narrati nel libro, intitolato «Gli intoccabili della città del Santo».


Tutti conoscono la senatrice M. E. Casellati, ma pochi conoscono Roberta Polese, una giornalista padovana che ha passato l'inferno per aver fatto il suo lavoro.

La giornalista si chiama Roberta Polese, lavorava come cronista di giudiziaria per «Il Padova», quotidiano gratuito del gruppo Epolis che ha chiuso nel settembre 2010.

Riportiamo parte dell'articolo “Il diritto di cronaca e le spese legali” pubblicato su Il mattino di Padova

“Poche settimane prima, il 19 luglio 2010, Roberta scrive un articolo intitolato «Arpav, scoperto l'uomo ombra, boss dei computer con parenti vip». Questo signore è Marco Serpilli, lavora a San Servolo, alla Venice International University che ha ottenuto dall'Arpav, agenzia della Regione Veneto, una consulenza di 250.000 euro per cambiare il sistema informatico.

Costo 715.000 euro.

Più la consulenza fanno 965.000 euro, tutti a carico delle casse pubbliche.

Il sospetto dei pm padovani Federica Baccaglini e Paolo Luca, che indagano sulla vicenda, è che il cambio del sistema informatico non fosse necessario all'Arpav, ma sia servito solo per affidare la consulenza.[...]

Si dà il caso che Serpilli sia il marito di Ludovica Casellati, figlia della senatrice di Forza Italia Elisabetta Casellati”.

Già famosa [si riferisce alla senatrice] perché da sottosegretario alla sanità nel 2005 aveva assunto la stessa Ludovica [ndr la figlia] nella segreteria del ministero, con uno stipendio di 60.000 euro l'anno. «Quasi il doppio di quanto guadagna un funzionario ministeriale del 9° livello con 15 anni di anzianità», scrisse Gian Antonio Stella.

Questi retroscena sono gossip o fanno parte della notizia?

Roberta Polese [ndr la giornalista] decide che trattandosi di soldi pubblici il collegamento Serpilli-Casellati non è faccenda privata e lo scrive.

Le casca il mondo addosso. Elisabetta Casellati la cita per danni, pretende 250.000 euro per l'onore infangato. Serpilli sostiene di c'entrare meno ancora, in quanto non direttamente indagato e querela per diffamazione.

Il gruppo Epolis ha chiuso. La Polese è aggredita in civile e in penale e deve reggere da sola, pagandosi gli avvocati. È disoccupata, ha un bambino piccolo, si gioca la casa dei genitori. E' disperata.

L'aiuto le arriva da una categoria che non fa spesso regali ed è bello scriverlo: due penalisti padovani, Giovanni Lamonica e Giuseppe Pavan, si offrono di difenderla gratis. Davanti al giudice civile l'assiste Luisa Miazzi, l'avvocato del sindacato giornalisti. Il 29 maggio 2013 la prima vittoria in sede penale (gup Domenica Gambardella), il 3 ottobre 2013 la seconda in civile (giudice Gianluca Bordon). Citare Serpilli e il rapporto di affinità con la senatrice Casellati faceva parte del diritto di cronaca, nessun illecito.

Elisabetta Casellati [ndr la senatrice] è condannata a pagare 8.250 euro di spese legali. Ma può fare ricorso e usa la minaccia per costringere la Polese a sobbarcarsi metà delle spese. Roberta, che ha vinto e ha solo un lavoro precario, per evitare l'appello che è un rischio si trova a dover pagare 4.125 euro all'illustre senatrice che ha perso. Può rifiutare e affrontare il secondo giudizio, ma due anni di angoscia l'hanno provata, non se la sente.

Risolve la situazione il sindacato giornalisti che nella gestione di Daniele Carlon e Massimo Zennaro si accolla i quattromila e rotti euro della Casellati.